In cucina ho chiara in mente una missione precisa: tornare a parlare di estetica del sapore.
Cucinare può essere un atto meccanico, spesso anche narcisistico; l’esperienza di MasterChef mi ha aperto gli occhi su quale sia la ragione autentica per la quale ho iniziato a mettermi ai fornelli. In un contesto in cui è l’estetica dei piatti a dettar legge, io desidero fortemente riportare al centro una vera e propria estetica del sapore.
Un approccio alla ristorazione che prediliga il gusto alla bellezza oggi è inesistente. I social sono pieni di immagini dai colori accesi, con pietanze più simili a opere di design, a composizioni simmetriche e perfette, più che a qualcosa da mangiare.

Quando mi trovo in cucina, quella di casa, di un ristorante o di un evento come la recente Douja d’Or, a guidare il mio lavoro ci sono tre pilastri. Sostenibilità, salute e sapore.
Per un’autentica estetica del sapore
Uno chef dovrebbe essere guidato da un principio di sostenibilità. Ciò non significa adeguarsi a una moda, ma aderire a una filosofia di pensiero fatta di rispetto e di scoperta (o riscoperta) di ingredienti sani, prodotti nel rispetto del terreno e del ciclo delle stagioni. Una scelta che ha valore etico, senza dubbio, ma anche estetico.
La salute è bellezza. Sentire, percepire, sperimentare benessere attraverso il sapore è un atto profondamente estetico. Alla base di un’esperienza simile, deve esserci una ricerca approfondita e consapevole di ingredienti freschi e veri, frutto di lavoro responsabile.
Sostenibilità e sapore sono strettamente legati. Il sapore che nasce da ingredienti sostenibili è un sapore che ha qualcosa in più, il primo passo di un percorso che porta alla creazione di piatti armonici e dall’ampia gamma aromatica. Perché un cibo con una vasta complessità aromatica avrà anche un’ampia potenzialità nutrizionale.

Molto spesso si fraintende la ricerca del sapore con l’esaltazione della tradizione. Sgombriamo il campo da questo equivoco: la cucina delle nostre nonne non aveva il sapore come fine, ma la ripetizione di un sapore. Attraverso una costante replica di qualcosa di noto, ecco nascere il cibo di conforto.
Interrompere la fissità del cibo di conforto significa intraprendere con coraggio l’esplorazione di un nuovo territorio, in cui gli ingredienti del passato possono produrre sapori nuovi, meno confortanti ma sorprendenti. Uno spazio in cui sostenibilità, salute e sapore sono inestricabilmente legati uno agli altri.
Qual è la missione di uno chef? Portare nel piatto la sorpresa del sapore.
E la sorpresa nell’esperienza del gusto può esserci soltanto se si ha il coraggio di abbandonare il cibo di conforto, quello che conosciamo meglio e che è sempre uguale a se stesso.
Ho avuto la fortuna di vestire la giacca da chef in molte occasioni: per Dujpuvrum, con le pro loco del Monferrato per Monferrato On Stage, alla Douja d’Or di Asti per il Consorzio della Barbera, solo per citarne alcune.
L’esperienza di MasterChef mi ha dato la possibilità di misurarmi con il sapore da un nuovo punto di vista. È stata una sfida importante: già allora iniziava a farsi strada in me un’idea di cucina che, negli anni, ha visto consolidare i tre elementi che oggi rappresentano la mia guida.
Federico Francesco Ferrero, quando veste i panni da chef, ha un obiettivo chiaro. Non scordare la tradizione, ma percorrere percorsi nuovi che portino a una verità nel piatto.
Sono un cuoco con le idee molto chiare. Cucino solo materie prime di straordinaria naturalezza e freschezza. Cucino tutto solo al momento. Cucino non per stupire, per decorare o per fotografare, ma per offrire ai commensali la possibilità di sorprendersi nel sapore. Sarò felice di cucinare per voi.