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A TAVOLA TUTTI UGUALI MA NON TROPPO

Nell’ondata di propaganda populista a favore del primato della mediocrità che ha investito la società occidentale in piena decadenza, nulla di diverso da ciò che accadde a ridosso della caduta dell’Impero Romano, la gastronomia ha un ruolo di primordine, accanto al sesso, alla comicità e allo sport, infarciti di eguale volgarità.
E il primo indicatore sociale della tavola non è, come si potrebbe pensare, il cibo, bensì il servizio.

Si sta instillando la credenza che le tovaglie siano un retaggio del passato, le stoviglie di ceramica fine un anacronistico orpello, i camerieri dall’aspetto curato e dai modi formali un’inutile affettazione, il galateo un’anticaglia da barattare con una spesso sbracata amichevole informalità e che regole e divise siano una castrazione dell’individualità del lavoratore. Peccato che nelle stanze del potere le cose vadano all’opposto. Dalle corti regnanti ai palazzi della politica internazionale, dai ristoranti della finanza ai circoli esclusivi, la fiandra ricopre il desco, i bicchieri di cristallo accolgono i vini, le posate d’argento vengono porte in guanti bianchi, i fiori freschi decorano i tavoli e le livree accolgono gli ospiti. E anche l’incoronazione del re d’Inghilterra non mancherà di esporre ori e uniformi alla pubblica distinzione.

Negli anni del boom il benessere della società in crescita aveva ridotto la distanza tra i pochi e i molti, che avevano coltivato l’ambizione di sperimentare, almeno a tavola, qualche dettaglio estetico degno dei sovrani ma oggi, nell’inconsapevole complicità dei più, questa differenza viene nuovamente ribadita, mistificata come modernizzazione, ogni volta in cui al ristorante, e poi a casa, si apparecchi con tovaglioli di carta, bottigliette di plastica e posate del discount.

Da La Stampa del