Amo il burro. Il burro possiede una finezza di gusto, una ricchezza di aroma e un’eleganza suadente, che si ritrova in pochi altri alimenti. Ma è raro trovare del burro eccezionale Italia. Mediamente il burro francese, purtroppo, ha un’altra complessità di gusto. Alcuni dicono che sia dovuto al fatto che in Italia il burro si ottiene per centrifugazione e non per affioramento; altri che il burro da noi non è un prodotto di scelta ma è lo scarto della lavorazione del parmigiano reggiano; altri ancora che leggi troppo rigide impediscono di produrre il burro utilizzando il latte di due mungiture successive; altri semplicemente che le nostre mucche non pascolano più nei prati ma ingrassano a mangimi. Non ho la risposta ma sono orfano dei sentori del burro che acquistavamo d’estate in una bottega di montagna. E nei ristoranti italiani di tono si serve, sempre più frequentemente, burro straniero. Quel che è peggio però è che i grandi ristoratori dimenticano che in Italia il burro non si è mai mangiato come prelibato antipasto. Il burro si mangiava al massimo all’osteria, con le acciughe e un bicchiere di vino. Trovo quindi assurda, in Italia, la leziosa apparecchiatura con piattino per il pane e spatola per il burro e ancora di più il reintegro del burro attuato con solerzia durante tutto il pasto. I commensali si ritrovano a intercalare ogni portata di un menu, che spesso di burro ne contiene già molto, nascosto inutilmente in troppi piatti, con una serie di fette di pane spalmate di burro, che non hanno alcun razionale né gastronomico né nutrizionale.
Come la parola “burro” che infarcisce queste poche righe, il burro mi piace, ma quando è troppo diventa stucchevole, inutile, indigeribile.
Da La Stampa del