Rebecca ha coraggio da vendere, pratica quotidianamente uno degli sport più rischiosi del mondo ma è terrorizzata dal provare una lumachina di mare.
La Signora Teresa sfiletta da quarant’anni il pesce della cooperativa ma è intimorita quando glielo propongo crudo.
Kate adora gli agnolotti delle Langhe ma si assicura tremante che non contengano coniglio, per lei un animale da compagnia.
Rosa lavora vigne ed orto da quando è bambina ma ha paura di bollire l’amaranto, per lei una pericolosa pianta infestante, benché la rassicuri sul consumo quotidiano in tutta la Grecia.
La rigidità alimentare, legata alla convenzione sociale più che alla convinzione personale, è uno dei tanti segnali del controllo operato dai pochi sui molti.
Nel passato, erano le comunità stesse a emarginare chi si allontanasse dalla regola, evitando alle istituzioni di dover vigilare e reprimere e, non a caso, anche riguardo all’alimentazione, furono moltissime le imposizioni più o meno formali, religiose, civili o cosiddette tradizionali.
Oggi, tramite una ben organizzata comunicazione mondiale, l’idiosincrasia è superata dalla propaganda. Per questo i Millenials non provano la cicoria ma abbondano di fagioli giapponesi, rifiutano la sogliola ma si nutrono di salmone crudo, evitano l’agnello della nonna ma amano il montone del kebab, sono riluttanti al verde ma non a quello del wasabi, snobbano le amarene ma cercano il nauseabondo durian. Ma non sono più liberi di un tempo.
Perché la soddisfazione nel sapore si può raggiungere solo abbracciando libertà e autodeterminazione per abbandonare il conforto della comunità ed aprirsi in maniera critica all’assaggio dell’ignoto, con il rischio di una delusione ma anche di un’altrettanta intensa sorpresa.
Da La Stampa del