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BATTERI E CIBO: ODI ET AMO

L’attuale igienismo sul cibo è polarizzato tra sicurezza alimentare e onnipotenza del microbiota. Da un lato, si stigmatizzano i rischi della contaminazione batterica, dall’altro si attribuiscono svariati effetti sulla salute umana proprio ai microrganismi che abitano l’intestino.

Il ruolo del microbiota dovrà essere ulteriormente approfondito ma l’assunto che l’uomo debba nutrirsi di cibo completamente sterile, privo di batteri, è indubitabilmente non corretto.
Infatti, il lisozima presente nella saliva, l’acidità gastrica e il sistema immunitario del tratto digerente rappresentano una difesa verso diversi patogeni alimentari ma sono altresì in grado di lasciare in vita quei contaminanti benefici sia per la salute che per il sapore.

Per questo, quando negli Stati Uniti vietarono la vendita di formaggi a latte crudo, non sterilizzato tramite pastorizzazione, Slow Food riuscì a far revocare il divieto dimostrando ciò che all’osservazione empirica risultava già evidente: consumarli non è rischioso.

Ugualmente, un produttore del Norfolk, rimborsando all’ASL locale i quotidiani controlli sanitari, vide approvare il proprio latte fresco per consumo a crudo.

In Italia, inoltre, più di un norcino ha palesato che, seguendo a regola d’arte pratiche secolari, i salumi si possono produrre in maniera sicura senza alcun tipo di conservante, se non sale e spezie.

Proprio il cibo industriale, sterile e ricco di sostanze battericide, è invece il maggior imputato della perdita di ricchezza del microbiota umano, che, all’occorrenza, si cerca di ripristinare con integratori o addirittura con trapianti fecali, quando basterebbe tornare a cibarsi di cibi contadini e artigianali, prodotti con naturalezza e intelligenza, la medesima che si attribuisce ai batteri intestinali.

Da La Stampa del