Non è un mistero che la Liguria degli stabilimenti balneari affollati da noi piemontesi non goda della mia simpatia, soprattutto gastronomica.
In una regione benedetta dal clima, dove cresce qualsiasi primizia, dove la biodiversità della macchia mediterranea è ancora conservata nell’ampia fascia, scarsamente abitata, stretta tra il cemento della costa e le cime nevose delle Alpi Liguri, dove le colture a dimora sulle terrazze di muretti a secco, strappate col sudore ai pendii, sono centenarie, dove i vigneti guardano le reti da pesca, i formaggi di capra affinano all’ombra delle albicocche e i tartufi profumano a poca distanza dai limoni, purtroppo sono i prodotti industriali, i surgelati e persino gli agrumi argentini e sudafricani a farla da padroni.
Ma ci sono sempre delle buone notizie, e vengono dai luoghi meno battuti. In queste settimane ho avuto tre incontri di speranza.
A Voze, nell’entroterra di Noli, ho scoperto una famiglia di contadini che produce ogni sorta di verdura nel rispetto della terra e del sapore, oltre alle uova di galline razzolanti e a un Vermentino fermentato spontaneamente e senza conservanti, che, da solo, vale il viaggio.
Ad Andora la cooperativa di piccoli coltivatori locali raduna una moltitudine di meraviglie dell’orto, raccolte correttamente quando per dimensioni appagano il palato e non l’occhio, tra cui la dolcissima cipolla Belendina e addirittura il mediorientale frutto dell’ibisco, il gombo.
A Stella una famiglia elabora ancora una profumata ricotta di pecora da latte crudo di pascolo.
Con questi indizi riuscirà a scovare gli indirizzi precisi chi userà un po’ di curiosità e di determinazione, quelle che sono mancate agli avventori della costa, che negli anni si è semplicemente adeguata alla clientela.
Da La Stampa del