Sarà perché sono piemontese, ma adoro la carne cruda. Anche a fine pasto. Sì, perché, come il dolce, la carne è sempre stata associata alla celebrazione di un evento speciale o di una festività religiosa: una maniera per chiudere o aprire un pasto con gioia.
Ma non è poi così raro l’utilizzo della carne in un dessert. Lo ricordo in Sicilia, vicino a Modica, dove ho assaggiato gli mpanatigghi, misteriosi ravioli dolci di carne e cioccolato, che testimoniamo l’influenza di una cultura magica ed evocativa: quella berbera. Non a caso in Marocco prima, e in Andalusia poi, uno dei dolci principali che veniva cucinato negli harem era la bstilla, uno sformato di pasta fillo a base di spezie, mandorle e carne di piccione che non chiamerei neppure “torta”. La cucina nord africana pre-islamica, infatti, con una certa malizia, alterna indifferentemente piatti salati a piatti dolci.
Confidando nei poteri magici delle cucine più antiche, per una serata speciale, mi piace marinare in zucchero a velo la carne cruda tagliata al coltello; condirla con buccia di cedro e frutto della passione; adagiarla su una crema inglese densa e fredda, realizzata col latte in cui ho lasciato in infusione un pepe aromatico, le bucce delle fave di cacao tostate e un baccello di vaniglia. E per rendere questo piacere ancora più esclusivo, quando è stagione e ne valga davvero la pena, ci metto sopra una lamella di tartufo. Nell’incontro col dolce il tartufo sprigionerà con grazia le proprie note di miele e riserverà il meglio di sé a una serata dedicata alla carne.
Da La Stampa del