/

DI QUESTE BOTTEGHE NON È RIMASTO CHE QUALCHE BRANDELLO DI NOME

Molte realtà artigianali italiane stanno passando nelle mani di gruppi industriali stranieri, fondi di investimento, organizzazioni finanziarie.

È successo recentemente con le più storiche pasticcerie milanesi. Ma da tempo accade con il vino, il cioccolato, il gelato, i salumi e la pasta.

Non parlo di marchi industriali, che anch’essi negli ultimi dieci anni sono stati acquisiti da gruppi stranieri per un valore superiore ai 60 miliardi di euro, ma proprio dei piccoli negozi storici.

La finanza ha logiche ben precise, che non prevedono la passione e la competenza nel gusto, in quanto a comandare è solamente il profitto, meglio se a breve termine.

La storia naturale di queste acquisizioni è quindi più o meno sempre la stessa: rifacimento del logo, sistemazione del sito web, ristrutturazione del punto vendita, rimodellamento dell’involucro, apertura di nuovi canali di vendita, aumento della produzione, semplificazione degli ingredienti e delle ricette, inserimento di personale senza esperienza nelle posizioni base dei negozi o proveniente dal lusso e dalla moda in quelle organizzative, espansione su scala planetaria, vendita dell’impresa e incasso degli utili.

Non esiste comunque una ricetta alternativa per infondere ai giovani la voglia di compiere i sacrifici quotidiani che queste botteghe richiedono o che li aiuti a sostenerne i costi, spesso ingestibili, ma il rischio che la migliore Italia del cibo si trasformi in un bollino per ammantare mediocri prodotti globalizzati del sapore del racconto di bei tempi andati, è piuttosto concreto.

Da La Stampa del