Milioni sono le cassette d’uva che in questi giorni, in tutta Italia, vengono raccolte e portate alla pigiatura.
Centinaia di migliaia sono i ristoranti in cui, alla richiesta di un frutto per concludere il pasto, vengono offerti ananas, banana, mela o, al massimo, uva da tavola prodotta molto lontano dallo Stivale. Mentre, tra i frutti più dolci, profumati, ricchi di sapore e, soprattutto, espressione pura del territorio e della stagione, non possiamo non contare l’uva da vino.
Certamente sarebbe meglio mettere in tavola i grappoli risparmiati dai trattamenti con gli antifungini quando gli acini sono già invaiati, ma il dramma è che quest’uva si fa comunque fatica a incontrarla tanto al mercato quanto nel cestino della frutta perfino nelle zone di vendemmia.
Da bambino fuggivo in vigna, dopo che i filari erano già stati battuti dai vendemmiatori, per trovare qualche grappolo dimenticato e riempirmi la bocca di quelle sfere succose, dolcissime e ben bilanciate con l’acido e l’allappante della buccia.
Non c’è dessert più adeguato per concludere un pasto, né abbinamento più azzeccato con un vino del medesimo vitigno.
Non c’è piacere maggiore dell’inspirare a quel profumo d’autunno e farne esplodere il succo tra la lingua e il palato.
Non c’è fine pasto più economico né manufatto di pasticceria più bello, non c’è gesto più sensuale di sbocconcellare dal medesimo grappolo o passatempo più gradevole di staccare gli acini uno ad uno.
Affettare un ananas acerbo è prosa, spolpare un grappolo d’uva è poesia.
Da La Stampa del