Come altri quattro miliardi di abitanti del Pianeta, preferisco la colazione salata, surclassata dai prodotti industriali e sempre più rara nella maggior parte dei paesi d’Europa, dove era la norma fino a pochi decenni fa. Ma mi consolo con le comunità orientali che ancora si svegliano con riso, brodo o pesce.
Mentre mi preparo al nuovo giorno rimpinzandomi in un bar cantonese, si siedono accanto a me tre cinesi, un padre e due figli adolescenti. Un maschio, che calza occhiali scuri e enormi cuffie per la musica, e una femmina, di poco più giovane, con lunghi capelli neri brillanti e lo sguardo fisso al telefono. Dalla mappa che stringono in mano, intuisco che sono appena arrivati in città e, da un messaggio vocale dettato dalla ragazzina, che i figli sono cresciuti in Italia. Il papà è magro, energico, i figli si muovono più lentamente, lo sopravanzano di una spanna e vestono un paio di taglie in più.
L’uomo ordina, come me, la colazione tradizionale: riso con verdure leggermente piccanti e zuppa con uovo al vapore. I ragazzi optano per il cibo ormai sdoganato anche nei fast food fusion di mezzo Stivale: il bao, panino ripieno di spezzatino di maiale, nella versione occidentalizzata. Quando il padre allunga la propria ciotola verso i figli, nessuno dei due vuole assaggiarne neppure un cucchiaio e concludono invece con un enorme bastoncino di pastella fritta, unto e croccante, lo youtiao, da poco elevato da snack alla dignità di pasto del mattino. La buona notizia è che, mentre noi abbiamo scordato zuppe di latte e pane secco, minestroni freddi a casa della nonna, scodelle di trippa nei vicoli e frittate di cipolle portate al campo, finché i genitori cinesi non si vergogneranno di come sono cresciuti, saprò ancora dove fare colazione.
Da La Stampa del