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FULVIO PIERANGELINI, L’ULTIMO CUOCO

Quando arriva l’estate penso al Gambero Rosso e a Fulvio Pierangelini, uno degli ultimi cuochi che abbiano dato un contributo fondamentale alla cucina italiana prima che venisse inquinata dal divismo gastronomico.
Non che oggi non vi siano ottimi chef, ma la cucina che praticano è spesso internazionale, sia nelle tecniche, che negli ingredienti, che nel servizio.

Ad esempio, nella maggior parte dei ristoranti stellati prima del pasto viene offerto il burro da spalmare, abitudine per nulla nazionale; piccione, astice e foie gras non mancano mai nel menu; le portate sono ridotte a piccoli assaggi in stile spagnolo; e abbondano nei piatti ingredienti e spezie dell’estremo Oriente.

Invece, lontano dai clamori del cibo che si è trasformato in “food”, Pierangelini ha sempre perseguito la cucina eseguita al momento, la maniacale selezione delle materie prime dal mercato locale e l’intransigenza gastronomica priva di compromessi. Il suo piatto più famoso, copiato, riproposto e rielaborato in centinaia di ristoranti del mondo, quello che lui non esegue più ma che, nella sua semplicità, resta ancora uno dei pilastri della cucina italiana contemporanea, la passatina di ceci, è semplice e geniale. Ceci ammollati e cotti in acqua minerale, passati al setaccio e montati col liquido di cottura, su cui vengono adagiati i gamberi freschissimi spezzettati a mano, marinati con aromatiche fresche e scorza di limone.

Ma la sua deduzione più appuntita è che ricette e menu degustazione vadano superati a favore di una creazione estemporanea. “Non si può decidere un piatto in anticipo, è l’ingrediente che quel giorno ti dirà come vuol essere cucinato”: etica preziosa che oggi ritrovo molto raramente negli interpreti della cucina italiana.

Da La Stampa del