Se si alzeranno ulteriormente le temperature diventerò triste, perché scompariranno dai mercati i piselli freschi. I semi grossi, verdi e gustosi di questo legume temono purtroppo il calore eccessivo, che mina la loro proverbiale dolcezza e tenerezza. Qualche bambino potrebbe obiettare che i piselli crescono in scatola tutto l’anno, ma il gusto di quelli freschi è ben diverso: ha un sapore erbaceo che nel conservato, neppure casalingo, non si mantiene. I piselli freschi profumano di primavera. E non a caso oggi molti chef di fama ne utilizzano i virgulti per trasferire una caratteristica nota aromatica alle loro preparazioni.
I piselli pongono anche un dilemma linguistico. Il verbo “aprire” che le generazioni più giovani, pensando alla lattina, riferiscono ai piselli, in realtà dovrebbe essere sostituito da “sgranare”, che i più anziani hanno praticato e utilizzavano anche a proposito della corona del rosario. Personalmente mi avventuro anche nel verbo “spellare”, inteso come privare ogni pisello del proprio tegumento, perché polpa e pelle hanno tempi di cottura diversi. Non è difficile: basta tuffare per qualche istante i piselli in acqua salata a bollore e raffreddarli in acqua e ghiaccio. La pelle si raggrinzirà e, strizzandoli tra il pollice e l’indice, la polpa sguscerà fuori, spesso già separata in due verdissime semisfere. Ma non si butta via nulla del pisello: i baccelli vanno cotti a lungo, le bucce un po’ meno e i semi spellati solo uno o due minuti, meglio se in brodo.
E scriveva nell’Ottocento Grimod de La Reynière “finché si mangeranno piselli a Parigi non si avrà il diritto di ritenersi infelici”.
Da La Stampa del