La notte del 5 gennaio a Prea di Roccaforte Mondovì, un pugno di case colorate strette attorno a una maestosa chiesa barocca fuori contesto, si terrà, come in molti altri comuni d’Italia, il tradizionale presepe vivente, interpretato come una rievocazione dei mestieri ottocenteschi, con l’utilizzo di attrezzi dell’epoca, vestiti storici, dialetto ancestrale e pratiche precedenti all’arrivo della rivoluzione elettrica.
Queste manifestazioni di pregio, che pescano in un retaggio di cui ancora esistono titolari di una memoria artigianale tramandata di generazione in generazione, andrebbero visitate in silenzio, come di fronte a tableau vivant, trattenendo il fiato come al cospetto di una specie in via d’estinzione.
Accanto a impagliatori di sedie, costruttori di zoccoli, affilacoltelli e carbonai, ho visto negli anni friggitrici di frittelle di mele, fornai, battitori di castagne secche, formaggiai e cuoche intente a impastare gli gnocchi.
Accanto agli anziani, schiere di bambini in abiti di lana cotta, corroborati dal calore della stufa e con in mano un gioco di legno. Sarebbe pregevole se, oltre a figurare come comparse, seguissero un percorso annuale di affiancamento ai depositari di questa sapienza antica, perché pratiche agricole alimentari e ricette non si fermassero all’aneddoto ma proseguissero il loro cammino nella globalizzata evanescente contemporaneità.
Intanto non perdetevi queste scene e questi profumi, per assaporare in maniera più consapevole gli odierni hamburger, sushi e gamberi di Mazara.
Da La Stampa del