“Stasera non esce Carmelo?”.“No, gli è arrivato il pacco da giù”… Quanto li abbiamo derisi i compagni di Università fuori sede per l’adorazione con cui ricevevano lo “scatolo” che recava scritto a pennarello, con calligrafia incerta: “per mio nipote Carmelo – fragile”.
In anni in cui la tracciatura elettronica non esisteva e le portinerie erano già merce rara, l’involucro andava atteso chiusi in casa, scommettendo sui tempi delle Poste Italiane e coinvolgendo tutti i coinquilini a rigidi turni di guardia in attesa del portalettere.
La confezione era ben riconoscibile per due macchie caratteristiche: una umida, data dall’iniziale scongelamento della parmigiana di melanzane e un’altra oleosa, frutto del tracimare delle melanzane sott’olio malamente sigillate nel vasetto. Al centro stavano il formaggio, una bottiglia di vino da quindici gradi almeno, una forma di pane, qualche dolcetto e un litro di extravergine robusto e piccante. E giù risate a crepapelle, sostenute da un po’ di invidia da parte nostra, cittadini a casa di mammà, che mangiavamo noiosi agnolotti piccolo borghesi, stracotti mosci e, al massimo della fantasia, un paio di acciughe al verde col burro.
Eppure l’altro giorno ho sperimentato a oltre vent’anni di distanza la medesima trepidazione, che tanto ci faceva sorridere, quando il corriere ha suonato al campanello: “le lascio un pacco sullo zerbino”.
Non ho fatto in tempo a lanciargli un bacio dal terzo piano, ma quando ho estratto dal cartone il mio vino preferito, i capperi di Pantelleria, la salsa di pomodoro e la pasta di Giovanni Fabbri, ho amato il Web più di mia zia.
Da La Stampa del