E’ partita ufficialmente la quindicina di diseducazione alimentare infantile.
I bambini, al mare come in montagna, vengono premiati quotidianamente con brioche industriali decongelate, barattoloni di Nutella senza fondo, focacce bisunte di oli discutibili, gelati confezionati dai nomi ancor più improbabili dei colori delle farciture, caramelle a sacchetti e chewing-gum che di fragola non hanno né il colore né l’aroma, il tutto annaffiato da litri di bibite gassate, regine della tavola delle ferie, tanto a casa quanto al ristorante.
I più insofferenti vengono pacificati da pacchetti di patatine e da succhi della grande distribuzione che contengono più zucchero che polpa di frutta. Il danno dal punto di vista nutrizionale è manifesto, basta guardare le pancette dei piccoli debordare dall’elastico dei costumi e i rotolini di grasso ammiccare dai pantaloncini da montagna, ma due settimane di vacanza non possono che perfezionare quanto perpetrato durante l’anno intero.
Il reale crimine estivo ai danni dei minori sta nell’indurli ad associare perniciosamente il concetto di ricompensa, premio e festa al cibo ipercalorico e insipido dell’industria, che rimarrà per sempre nei loro sogni di adulti sovrappeso e senza palato.
Proporre l’eccezionalità di un besugo pescato, dei pomodori col sale di scoglio, della pera matura, del fico colto dall’albero, del limone spremuto, del burro d’alpeggio, della mora di rovo e dell’acqua di fonte potrebbe forse almeno pareggiare il conto delle altre quaranta settimane in città.
Da La Stampa del