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LA GLOBALIZZAZIONE DILUISCE SAPORI E IDENTITÀ

Nella piazza gastronomicamente più storica della prima capitale d’Italia, ha appena inaugurato l’ennesima insegna della catena Antica Focacceria San Francesco, oggi di proprietà di un colosso della ristorazione collettiva. Eccellente progetto, gestito con qualità, come altri di questo gruppo, ma comprensibilmente lontano dal fascino del negozio di Palermo, dove andavo, vent’anni fa, ufficiale medico fresco di nomina, a gustare il panino con la milza cotta nella sugna di maiale e maritata alla ricotta salata.

La moltiplicazione in serie di un locale, che da ristorante diventa marchio, trasforma il cibo a basso costo, che ancora si può trovare, con un po’ di curiosità, nei mercati delle capitali del Sud del mondo, in cibo povero, omologato, privo di pericoli ma pure di poesia e di sapori sconvolgenti. Siccome ciò che avviene nei capoluoghi viene riprodotto, presto o tardi, nella provincia, prepariamoci a vedere Langhe, Chianti e Salento invasi dal cosiddetto cibo di strada, ma non solo da catene di livello, come questa, ma da sapori orientali semplificati, da piatti hawaiani massificati, da pizze d’asporto rigenerate.

A poca distanza dalle settecentesche architetture sabaude, proliferano già panini di pesce, rotolini di riso e sushi brasiliano che sarebbe più opportuno collocare in zone commerciali ma meno iconiche. “È la globalizzazione, bellezza!”.
Non dimentichiamoci però che l’offerta del cibo concorre a connotare l’identità attraente delle nostre città storiche, che infatti si sta progressivamente diluendo.

Da La Stampa del