/

LA SCELTA ALIMENTARE NELL’ERA DELLA COMPLESSITÀ

La situazione è un po’ più complessa, soprattutto quando si parla di sostenibilità.
La scelta di una dieta completamente vegetale potrebbe non essere più virtuosa di quella carnivora, se frutta e ortaggi sono coltivati in maniera intensiva.
L’uso di fitofarmaci e fertilizzanti, come più volte stigmatizzato da Slow Food, conduce infatti a una perdita di biodiversità e a un impoverimento dei suoli. Inoltre, la corsa a incrementare le quantità a scapito delle qualità aromatiche, implica insostenibili utilizzi di risorse idriche per l’irrigazione, carburanti fossili per alimentare i macchinari e ingenti costi, economici e ambientali, per lo stoccaggio, la refrigerazione e il trasporto.
Ad esempio, l’avocado, amico della scelta vegana, salvo rari casi, ha un impatto ambientale devastante, con oltre duecento litri d’acqua per ogni cinquecento grammi di prodotto, senza contare conservazione e spedizione via mare.

L’equilibrio starebbe nel ritorno a aziende agricole autosufficienti, in cui il fertilizzante fosse rappresentato dal sovescio vegetale e dalla sostanza organica fornita dai bovini, alimentati da cereali, legumi e foraggio aziendali.
Pur in un’economia basata su ortaggi, frutta, frumento e, magari, vino e conserve vegetali, il bestiame verrebbe parzialmente venduto per sostenere l’azienda, utilizzato per l’autoconsumo e, possibilmente, per il lavoro nei campi, come due secoli fa.

È una microeconomia di prossimità quella amica del sapore e dell’ambiente, perché la sostenibilità, spesso, è questione di dimensioni più che di buone intenzioni, tanto quanto il gusto.

Da La Stampa del