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La selvaggina non sa di pollo

La selvaggina, frollata, marinata a lungo e cotta con tanto vino, diventa morbida, perde il sapore di selvatico e, più semplicemente… non sa più di selvaggina.

Affogata nella salsa al vino rosso, la carne di cinghiale, capriolo o cervo, diventa indistinguibile da un qualsiasi altro spezzatino, trasformandosi in un confortante contorno per la polenta, dall’intenso sentore di cipolla, carota e ginepro.

La frollatura, processo enzimatico e batterico che conferisce alle carni succosità, gusto e morbidezza, va eseguita in grandi pezzi e in un ambiente con umidità e temperatura controllate, che è altro dal frigorifero di casa. E, tanto meno, è adatto il surgelatore, dove la carne non frolla affatto ma semplicemente danneggia le fibre, che in cottura perderanno il succo insieme ai sapori.

Si è sempre utilizzata nei secoli quando la cottura avveniva alla brace, ma l’estrema tenerezza della carne, ammesso che sia un pregio, si ottiene ugualmente, senza frollarla, con il più efficace riposo in pentola sigillata, per ore, dopo breve cottura.


Abbattere un animale selvatico, poi, è un atto che deve essere considerato eccezionale, non è quindi sostenibile rifiutarne il gusto, occultandolo con la marinatura.

Queste carni, fresche o riposate, possiedono un aroma peculiare, non puzzano affatto “di selvatico”, ma, d’altra parte, i ricettari degli anni ’50 consigliavano ai nuovi piccoli borghesi di cucinare il pesce “ben cotto”, per non essere turbati da un sapore che non sapevano riconoscere e quindi non potevano apprezzare.

Da La Stampa del