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L’acciuga è un pesce fuor d’acqua

L’acciuga è un pesce fuor d’acqua. Letteralmente. Perché quando nuota in grossi banchi facendo ribollire l’acqua d’argento e di azzurro ha il nome di “alice” ma, quando incontra il sale, in molte regioni viene chiamata “acciuga”. Altrove rimane acciuga sia nel mare che nel vetro.

Le acciughe salate migliori, come i grandi vini, hanno i loro convinti estimatori: Sicilia, Costiera Amalfitana, Mar Cantabrico, Liguria. Ma il sapore è anche un affare di memoria e di cuore. Perciò preferisco quelle di Bergeggi. All’inizio di luglio le compravamo a cassette sulla banchina del porto di Savona, le pulivamo una ad una e poi, dopo averle sciacquate nell’acqua limpida del golfo di Spotorno, le impilavamo, a strati alternati con sale marino, in grossi vasi che venivano chiusi da un disco di vetro sul quale si doveva posare una pietra pesante.  Alla fine di settembre, tenute al buio e nel fresco di una cantina aerata, le acciughe erano pronte ad affrontare l’inverno e le albanelle potevano essere tappate ermeticamente.

Ma le acciughe non sanno nuotare in acqua dolce. Durante la salatura neppure una goccia d’acqua o di ghiaccio devono toccare la loro carne soda, altrimenti inizia una subdola e irreversibile decomposizione. Allo stesso modo, quando arriverà il momento di farle uscire dal loro sapido letargo, dovrà essere il vino a risvegliarle. Un delicato spumante laverà loro di dosso il sale in eccesso e restituirà un fresco colore rosato alle carni indolenzite, facendo esplodere in bocca il profumo dell’arenile, che l’acqua dolce trasformerebbe in un meno allettante sorso di piscina.

Da La Stampa del