“Celebriamo oggi l’unione tra Miele e Formaggio. Stappiamo per l’occasione una bottiglia di Barolo 1971, impressionante per la gamma di sensazioni olfattive di eccezionale l’equilibrio ed eleganza e apriamo una forma di Bettelmatt d’alpeggio, dolce e untuoso, dai sentori erbacei dell’erba motellina dei pascoli ossolani. Intingiamo dunque il formaggio nel vino e succhiamolo come un ghiacciolo, poi versiamoli entrambi nella pignatta del risotto con dado e burro del discount”.
Ora svegliatevi dall’incubo!
E’ un criminale chi cuocia vini, formaggi, salumi, tartufi bianchi e uova di mare, perché il calore fa scappar via tutte le preziose molecole odorose. Ma altrettanto le complessità aromatiche nello stesso boccone non si esaltano per moltiplicazione ma si annullano per sottrazione.
Astenersi quindi dall’algebra del gusto: è preferibile un contraltare neutro per un formaggio complesso (una galletta d’avena, come nell’uso dell’aristocrazia inglese) e uno altrettanto basilare, una patata bollita, per un vino importante. O meglio addirittura goderli in assoluta solitudine, di complementi e magari di commensali.
E allora il miele sul formaggio? Se il cacio è dell’industria, estratto ghiacciato dal frigo, e il miele cinese, liquido come olio, il danno è modesto. Ma tra eccellenze di malga e d’alveare, che i profeti e Omero, non avendo altri ingredienti, cucinavano insieme, oggi, col permesso dei francesi, a tavola meno laici che nella Repubblica, questo matrimonio non s’ha da fare.
Da La Stampa del