Tre leggende sui porcini.
La prima sostiene la necessità del prezzemolo in qualsiasi preparazione: crudi, in padella, al forno, in tegame.
Ebbene, quest’erba piuttosto invadente, che per il medesimo motivo dovrebbe essere vietata in qualsiasi preparazione a base di pesce, ha un aroma coprente, di verzura, che confligge con la delicata suadenza del fungo. Infatti non è mai stata utilizzata nel glorioso passato della cucina, alle tavole più raffinate, dove i boleti erano piuttosto accompagnati dalla gentile mentuccia selvatica, la nepitella, o da un paio di piccole foglie di basilico fresco. Il prezzemolo si è diffuso in tutta Italia nel secondo dopoguerra, perché di facile coltivazione, conservazione e riconoscibilità ma assassina il lavoro del cercatore.
Il secondo mito riguarda la superiorità dei funghi fritti.
Passati in uovo, farina e pangrattato risultano apprezzabili pure dei fogli di carta assorbente. Certo la gabbia di mollica fritta trattiene l’aroma più pungente ma mortifica i più delicati e interessanti. Se poi si cede alla farina di polenta il delitto sul sapore è del tutto compiuto.
I funghi del re erano cotti semplicemente e per breve tempo in molto burro di montagna, che non doveva mai friggere.
Ultima consuetudine, figlia della necessità, cucinare i gambi insieme alle cappelle.
L’aroma del fungo è nella testa e i tempi di cottura sono differenti: il gambo si può utilizzare per una crema o un concentrato ma se c’è di meglio conviene evitarlo.
Il retaggio è duro a morire, ma chi accetterà l’onere della prova, lo supererà senza rimpianti.
Da La Stampa del