Adoro il ristorante cinese. Non involtini primavera, pollo alle mandorle e spaghetti di soia, ma trippa, zuppe, ravioli in brodo e ogni sorta di verdure saltate.
Con “ristoranti” si dovrebbero in realtà definire quelli di cucina imperiale, storica o contemporanea, uno stile che ha oltre 2500 anni e si basa sulla ricerca di materie prime rare, preparazioni articolate, sapori complessi e realizzazioni visivamente spiazzanti.
Era la cucina della sorpresa ed è raro trovarla perfino nel Paese d’origine. Mi sto invece riferendo alla cucina del conforto, che viene servita in locali che si dovrebbero definire “trattorie” cinesi, perché mettono nel piatto la cucina del Sud-Est della Cina, proponendo praticamente le medesime ricette ovunque nel mondo.
Le caratteristiche principali sono però la capacità di non eccedere nel piccante, l’avere una vasta varietà di piatti e il cucinare tutto al momento al fuoco vivo del wok. Questo garantisce che le cime di rapa o il cavolo cinese vengano mondati e cotti quando viene ordinato il piatto, a oltre 200°C, e arrivino in tavola meno di dieci minuti dopo.
L’altissima temperatura spazza ogni dubbio sull’igiene e l’aggiunta di acqua o di brodo in padella, con la successiva scolatura, elimina la maggior parte dell’olio, trasformando i vegetali come se fossero stati istantaneamente bolliti.
Per questo motivo, quando sento il bisogno di un piatto di verdure fresche, introvabile nella maggior parte dei
ristoranti gastronomici del mondo, cerco una vera trattoria cinese e, di solito, ne esco sazio, felice, confortato e
sorpreso.
Da La Stampa del