Il consiglio su un buon ristorante è il quesito più frequente che mi viene sottoposto da amici, conoscenti, lettori, fan, pazienti e passanti, delusi tanto dalle valutazioni trovate sulle guide gastronomiche, influenzate dagli uffici stampa dei locali, quanto dalle recensioni degli utenti della rete, viziate da una buona dose di incompetenza.
Ho elaborato quindi un piccolo test per stanare intanto stagionalità e cucina espressa, oggigiorno tanto sbandierate.
In queste settimane, San Marzano, Ciliegino e Cuore di Bue affollano gli orti, le dispense, e ahimè pure i frigoriferi, della maggior parte delle famiglie italiane. Sedetevi quindi al tavolo, ordinate due portate, come ho fatto in vari locali la scorsa settimana, e chiedete se potete avere un’insalata di pomodori di contorno.
Risultati: in Monferrato mi hanno proposto pomidori dell’orto, spellati, accompagnati da una cipolla, anch’essa autoprodotta, e conditi con l’aceto della cantina: questo ristorante merita tre pomodori, vale il viaggio!
A Torino hanno estratto dal freddo della ghiacciaia un paio di anemici costoluti da supermercato trasformati, malgrado il blasone del locale, in un’insalata insapore degna di una stazione di servizio: siamo solo sopra la sufficienza: un pomodoro.
Nelle campagne fertili del Cuneese hanno invece risposto che non c’era un solo pomodoro in tutta la cucina. Quest’ultimo non è un ristorante ma un mangificio a cui preferire il riscaldamento dei surgelati tra le mura domestiche: perde quindi la stella, pardon, la pomatica.
Da La Stampa del