Il tratto di entroterra che cinge la città di Savona, tra le foci dei torrenti Letimbro e Quiliano, è probabilmente uno dei luoghi agricoli più belli della Liguria, e quindi del Nord Italia.
In realtà lo era, prima che un’urbanizzazione selvaggia soffocasse di cemento le fertili pianure sottratte alla palude e l’antonomasica gelosia ligure della proprietà privata, che ha più di una giustificaione storica e geomorfologica, costellasse di baracche, cancelli, muri, scale e steccati ogni metro quadrato di campagna.
Ma se si riesce a perdersi a piedi risalendo le rive dei corsi d’acqua, traguardando le cime innevate delle montagne piemontesi, si scoprono ancora anfratti di rara bellezza e genuinità, ponti romani, borghi medievali, semplici manufatti cinquecenteschi, orti rigogliosi di carciofi, biete e brassicacee, cisterne, terrazze sorrette da muretti a secco di araba infuenza, che ospitano ulivi centenari e, al di sopra di essi, nelle zone più esposte a mezzogiorno, vigne antiche, con tronchi robusti, appena prima di croci e conventi.
Il miracolo di colore e di sapore si eleva in realtà appena sopra al livello del mare, nei giardini dove, addossati a un muro di pietre di greto si ergono alti fusti di agrumi, ora carichi di mandarini arancio vivo e di limoni gialli e succosi, che effondono profumi di zagara dai rami e aromi d’Oriente dalle foglie più giovani. Cadono a terra, ignorati, decorano le mie passeggiate.
Torno in città e non trovo altro che inodori agrumi da lontano trasportati, buoni per quei clienti laureati, che si muovono soltanto tra frutti dai nomi poco usati.
Da La Stampa del