L’erba grama non muore mai.
Neppure con la siccità, anzi. Quest’estate che ha visto i pascoli alpini colorarsi di giallo per la mancanza assoluta di acqua, i giardini tendere al marrone, le aiole seccare e gli orti essere avari come non mai, hanno trovato campo libero le erbe infestanti che, non più tenute a bada dalla competizione con gli altri vegetali, hanno allegramente invaso ogni spazio montano o di pianura.
Ma c’è anche una buona notizia. Le cosiddette “erbe grame” non sono affatto disprezzabili in cucina.
La portulaca, o porcellana, un tempo cibo da maiali, ben risciacquata per privarla dei dispettosi semini neri, è un complemento sodo e croccante che accende di verde qualsiasi piatto freddo: l’insalata di pesce, la crema di zucchini, il carpaccio di pomodori.
Dell’amaranto, pianta immortale che succhia al terreno l’azoto, e per questo invisa ai contadini da tempo immemore, si raccolgono le foglie apicali più tenere, le si scotta velocemente in acqua salata e acidulata, e, tiepide, le si condisce con limone, aceto e olio buono: praticamente è l’unica verdura a foglia nei menu dell’Egeo, dove ho imparato a berne pure il brodo, dissetante e piacevolmente metallico.
La grande famiglia dei farinacci o farinelli, riconoscibili dalla polvere bianca presente sotto alle foglie, ha avuto nei secoli maggior fortuna tanto che tra questi chenopodi, dovuta alla foglia a foggia di zampa d’oca, quello di montagna fu chiamato Buon Enrico. Allo scopo di infilarli in ravioli, frittate o, a sacchetti, nel congelatore, per tradizione vengono stracotti fino a diventare scuri e insapori.
Vanno invece cucinati in forno senza scolarli dopo il lavaggio, ad alta temperatura per pochissimi minuti, come al vapore.
Aguzzate la vista!
Da La Stampa del