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RICETTE DEI MORTI CONTRO ZUCCHE DI HALLOWEEN

L’1 e 2 novembre si festeggiavano i Morti mettendo in tavola i piatti più poveri della trazione contadina. La festa dei defunti era piuttosto inclusiva ma, a differenza di Halloween, non globalizzata.
Anticamente collocata prima di Pasqua, voleva infatti ricordare tutti coloro che erano trapassati senza poter chiedere perdono a Dio dei propri peccati, quindi precludendosi il paradiso.
Ci pensava già la pomposa liturgia di Ognissanti, il giorno precedente, a celebrare tutti gli antenati, anche non canonizzati, che potevano godere della gloria divina.

ll popolo, si sa, è pratico e, nel dubbio di non possedere tutti i quarti di santità, si affezionò parecchio alla meno aulica festa dei defunti, importandovi una serie di usanze gastronomiche, anche pagane, a base di cibi autunnali: bustrengolo, castagnaccio, fave dei morti, pabassinas, taralli dei morti, tetù, zemìn di ceci… A casa mia, in Piemonte, si mangiava la bagna-caoda, salsa a base d’acciughe e, soprattutto, di generosissime quantità d’aglio. Sarà stato per le note conseguenze sociali del potente bulbo che don Mario, malgrado il clima rigido di quei decenni lontani dal riscaldamento globale, iniziò a officiare la messa al camposanto, all’aperto.

Oggi l’autunno sembra estate e al mio paese si preparano muffin, brownie e zucche intagliate. E la carnevalata consumistica con cui abbiamo deciso di sostituire una delle poche feste, pur tristi, rimaste a sottolineare l’intimità della cultura famigliare, che procede di generazione in generazione, credo ci abbia privato di una libertà: quella di ripetere una volta all’anno un rito arcaico, fortemente identitario, che ha il sapore della fatica e della povertà di chi ci ha preceduto per garantirci l’odierno benessere.

Da La Stampa del