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SAPORI IN VIAGGIO, UNA DIVINA COMMEDIA

L’aeroporto internazionale di Lisbona è costruito attorno alla parrocchia della Portella, un’area di piccole abitazioni di campagna a due piani, che resistono all’avanzata degli smisurati condomini-dormitorio, circondate da dolci pendii, allora d’erba, oggi d’asfalto, e precedute da un fazzoletto d’orto in cui crescono, rigogliosi come nel paradiso terrestre, limoni carichi di frutti, fichi, uva, cavoli, pomodori, patate, cipolle e broccoli, dirimpetto alle immense pareti degli ipermercati, mura dell’Ade contemporanea, su cui sono riprodotti, a grandezza disumana, alcuni ortaggi lucidati a specchio e illuminati ad arte.

Mentre i frutti maturi e profumati cadono a terra sui marciapiedi, quelli acerbi e inodori, prodotti a migliaia di chilometri di distanza, fanno bella mostra di sé sugli scaffali.

Nel terminal aeroportuale è l’inferno, la maggior parte del cibo servito a caro prezzo nei ristorantini è calorico, insapore e privo di vitamine: pane, dolci, pasta, pizza, patate.

Il passaggio al purgatorio si compie salendo la scala cieca che conduce alle salette viaggiatori riservate. Qui trionfano verdure fresche, insalate, cataste di frutta, spremute, acqua aromatizzata al limone e rosmarino, nella dicotomia tra la salute dei pochi e l’abiezione gastronomica dei molti che si ripeterà, al di qua e al di là delle tende della classe economica, a bordo di ogni aereo.

Il paradiso, di pomodori contadini e fichi di giornata, è nei ristoranti più raffinati delle varie destinazioni, dove si perfeziona l’assioma che vede la ricchezza sempre più unita a sostenibilità, salute e sapore. Il vero indicatore sociale oggi non è l’aereo privato ritratto su Instagram ma l’insalata dell’orto, che è meno fotogenica ma più soddisfacente e accessibile.

Da La Stampa del