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SARMA LI TURCHI!

Per descrivere la migrazione delle popolazioni, ci redarguiva il nostro professore, dove non arrivava la genetica si poteva provare con la gastronomia, perché le abitudini culinarie, prima che si diffondessero i voli low cost e, soprattutto, i nuovi mezzi di comunicazione sociale, erano molto resistenti ai cambiamenti, magari permeabili alle contaminazioni. Invece nell’immenso impero ottomano gli invasori seppero essere piuttosto pervasivi, financo in termini di sapori.

Troviamo così i medesimi piatti, con piccole variazioni di denominazione e di ricettazione, dal Nord Africa al Baltico, dall’Adriatico al Mar Nero. Risulta piuttosto evidente analizzando una delle specialità di cui tutti i paesi dominati credono di essere inventori e gelosi custodi: gli involtini.

Il lemma originario turco, sarma, avvolto, si riferiva alternativamente all’uso stagionale della verza o della vite. In principio le foglie venivano ammorbidite tramite processi di fermentazione, poi si passò semplicemente a intenerirle sbollentandole in acqua. Ripieni di verdure, di riso e, recentemente, di carne, e cotti in padella, al sugo o al vapore, si ritrovano con varianti arabe e persiane del lemma: yaprak, derevi, dolma, in Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Serbia, Cipro, Albania, Armenia.

E incredibilmente sono conosciuti anche in Piemonte, mai dominato dagli ottomani ma piuttosto dai Mori, arabi nordafricani, e almeno trecento anni prima dell’espansione turca, col nome di caponet o pes-coi, per la somiglianza col pollo legato dallo spago o con una trota accomodata in padella.
L’ascendenza della ricetta è infatti probabilmente persiana e ben più antica.
Le civiltà e le cucine di successo sono quelle che sanno accogliere.

Da La Stampa del