L’assaggio è una disciplina professionale.
Per permettere di cogliere le sfumature di sapore e gli eventuali difetti già al primo boccone, si svolge in ambiente controllato, in solitudine e in silenzio, e richiede grande esperienza e concentrazione.
Per poter stilare una classifica, un secondo assaggio è utile per confermare le scoperte aromatiche o per determinare la posizione del campione di vino, di olio o di formaggio rispetto ai concorrenti.
Avendo praticato questa attività in tre diversi settori alimentari ne ho sperimentato ahimè la fatica e le regole.
Ma a tavola, al ristorante come a casa, non voglio lavorare.
Mi piace concedermi la convivialità e la gioia dell’incontro inaspettato con la sorpresa nel gusto, per il quale è necessario un terzo assaggio, che superi la conferma e conceda la possibilità di rilassarsi e di godere dei sensi.
Se non ho mai amato le porzioni da duecento grammi di pasta, le foto di piatti luridi e vergognosamente abbondanti, che spesso vengono avanzati e gettati in pattumiera, con colpevole mancanza di pudore e di sostenibilità, se mi sono sempre scagliato contro l’inganno della quantità barattata per la qualità, allo stesso tempo sono diventato insofferente alle porzioni minime, tanto di moda in alcuni ristoranti contemporanei.
Servire un gambero di numero, un dado di manzo, due ravioli, una polpetta, il cui aroma scompare sul più bello, in un sol boccone, è una pratica contraccettiva efficace nel prevenire la nascita di qualsiasi soddisfazione nel sapore.
Da La Stampa del