Sono andato a Taiwan per provare il cibo di strada tradizionale e ho scoperto che non esiste più. Ho percorso l’isola a piedi per venti chilometri al giorno, per non trascurare nessuna via, crocicchio o mercato.
Eppure, quei piatti basati su materie prime povere e avanzi del mercato, cucinati in maniera veloce e nutriente, per sostentare lavoratori e viaggiatori, è sparito per inclusione, assorbito da una nuova offerta, che ha trasformato il cibo in passatempo.
Il mercato centrale della capitale è stato smantellato per favorire lo sviluppo immobiliare, sono sorti, a favore di giovani e turisti, numerosi rutilanti mercati notturni e vi si servono ogni sorta di alimenti, fritti, perché risultino croccanti, trasportabili e confortanti.
Non è il gusto ma l’aspetto coreografico delle varie preparazioni a attirare gli avventori.
Molti ingredienti non sono più né freschi né locali: granchi, gamberi e frutta di importazione, per dirne alcuni, e la maggioranza delle ricette è di pura invenzione, senza nessuna coerenza con la tradizione e, spesso, neppure col sapore.
Le uova di cascina e le verdure contadine fresche si trovano ormai solo nei locali alla moda per universitari di lusso, assemblate in ricette fusion e accompagnate da caffè artigianali.
Comunque non ho voluto arrendermi e ho scovato, nelle vie laterali, gli ultimi stalli della tradizione, dove vecchine senza clienti continuano a preparare, come hanno fatto per decenni, con interiora e ossi, zuppe ricche di energia, con verdure fresche e spezie, involtini vegetariani, con gli scarti della macellazione, spiedini croccanti.
Nulla di divertente ma autentico, nutriente e saporito. Nulla di diverso da quanto sta accadendo a Atene, Vilnius, Palermo e Pristina. Il cibo di strada è diventato cibo da luna park.
Da La Stampa del