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Tavoli all’aperto, regalo del virus

Dilagava la moda delle appendici dei locali, dehors fissi con tanto di riscaldamento, illuminazione e aria condizionata; manufatti ingombranti e inamovibili a invadere marciapiedi, piazze, controviali, vie secondarie, palafitte, garage e magazzini arrembati alle facciate delle case, con un gusto tutto speciale per la difformità.

Ma, d’altra parte, da noi fa freddo, e non si può immaginare di servire un caffè o un bicchiere di vino a chi non sia messo in condizione di ritrovarsi in maniche di camicia in pieno inverno. A poco valevano i confronti con i Paesi del Nord Europa, dove la coperta è la cifra del consumare all’aperto, “ma lassu sono abituati”, o con i tavolini adagiati nelle strade di Madrid, protetti solamente da un ombrellone, “in Spagna è estate tutto l’anno”, quando in realtà l’inverno sull’altopiano della Meseta è tutt’altro che mite.

L’italica propensione a cementificare, con la scusa del pasto caldo, dall’arenile al sagrato, è sempre riuscita a camuffare abusi edilizi in spregio della bellezza dei nostri centri storici.

utto questo fino all’ultimo decreto sulla ristorazione quando, anche al Nord, sedie all’addiaccio, buttate a manciata sui porfidi cittadini, sono state prese d’assalto da clienti spavaldi, senza tema di raffreddori malgrado il ritardo di primavera. E, con buona pace degli esercenti, si è scoperto pure che un dito di vino in più aiuta a superare il primo accenno di brivido. I più volenterosi hanno addirittura ricoverato gli arredi per la notte, per lasciare alle città, impercorribili, la bellezza austera dell’assenza. Non tutta la pandemia vien per nuocere. 

Da La Stampa del