Avremmo dovuto imparare ad apprezzare la soddisfazione dell’incontro con l’altro, che lo schermo di un telefono non può surrogare, ma non mi pare che la smania del virtuale sia in calo; avremmo potuto riscoprire il piacere dei ritmi fisiologici del cammino, opposti alla frenesia arrogante dell’automobile, il cui primato però non risulta scalfito; avremmo dovuto addestrarci alla bellezza dell’abbraccio e alla magia dello sguardo con le persone a cui vogliamo bene, ma sembra invece che il prossimo sia ancora più nemico e l’amore dato per scontato…
In cucina abbiamo avuto l’opportunità di ritrovare la fragranza della cottura espressa, l’inventiva dei piatti del giorno, il profumo dell’uovo di giornata, del pane lievitato con lentezza e della verdura fresca del contadino, che da soli risolvono un piatto. Mi aspetto quindi che da oggi gli chef passeranno più tempo al mercato e meno sui social, che le buste sottovuoto scompaiano dai frigoriferi dei ristoranti, che le verdure fresche di orti senza farmaci vengano mondate e cucinate al momento dell’ordine, che i menu seguano il pescato del giorno e non la dittatura del congelatore.
Sta a Voi clienti non sprecare anche questa lezione e pretendere che in ogni ristorante, non solo in alcuni, si torni a cucinare davvero per mangiare bene almeno quanto avete sperimentato a casa in questi mesi.
Nel frattempo io torno al ristorante. Torno per rinnovare la gioia del convivio e per raccontarvi tra qualche tempo se questa lezione sarà caduta nel vuoto o avrà lasciato un segno nel sapore.
Da La Stampa del