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IL CIBO SIA LA TUA MEDICINA

Tra le conseguenze più tristi della pandemia ­­vi è di certo l’impossibilità di far visita ai ricoverati, soprattutto durante i pasti.
Ho frequentato gli ospedali come visitatore, come medico e come paziente, e so bene che gli unici momenti che scandiscono giornate tutte egualmente tristi sono quelli della refezione, che è lenitivo poter consumare in compagnia, meglio ancora se le portate arrivano direttamente da casa.

In molti Paesi da noi considerati sottosviluppati sono i parenti ad occuparsi del cibo dei degenti. Si accampano in sale adiacenti alle corsie ospedaliere e cucinano il cibo che poi condividono con i convalescenti, un momento di umanità, di normalità, di fiducia e di carezza al sistema immunitario, psichico e metabolico.
E il cibo portato da casa ha tre caratteristiche introvabili nelle strutture sanitarie: è cucinato al momento, composto con ingredienti freschi contadini e non umilia il sapore di chi già è messo a dura prova dal morbo. Le rigide norme di sicurezza alimentare inoltre non hanno razionale per un pasto cucinato espresso per due persone.


Molti ospedali europei, spesso insensibili ad accettare la collaborazione alla cura dei “parenti” e sovente carenti nella somministrazione di cibo di alta qualità organolettica e nutrizionale, terapeutico di per sé, oggi sono impermeabili alle visite gastronomiche dei congiunti ma, con la vicina normalizzazione e i finanziamenti della ripartenza, potrebbero prendere l’occasione di scommettere sulla vita prima ancora che sulla cura, investendo nella convivialità.