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ACCIUGHE DELLA MEMORIA

Spesso il sapore é una questione di memoria.
A Lisbona, dove sono abituati a grigliare e conservare sarde dalle dimensioni di un piccolo sgombro, sorridono quando vedono uscire dai barattoli le nostre acciughe, piccole e delicate, perfettamente mondate dalle interiora, pratica sconosciuta in alcune zone del Portogallo, della Grecia e dei Balcani, che conferisce loro un aroma greve che non si dimentica facilmente e che risulta sicuramente vicino alla tradizione ma parecchio lungi dalla raffinatezza.
Ma, si sa, in cucina come nella vita, vale più il conforto della ripetizione degli stessi percorsi che la curiosità coraggiosa di confrontarsi con ciò che non si conosce, per rischiare di trovare magari una sorpresa nel sapore. Potrebbe essere per lo stesso motivo che prediligo le acciughe di Noli.

All’inizio di luglio le compravamo a cassette sulla riva, poi andavamo di fronte all’isola di Bergeggi e le pulivamo una ad una, dopo averle sciacquate nell’acqua limpida del golfo di Spotorno, e le impilavamo a strati alternati a sale marino, in grossi vasi che venivano chiusi da dischi di vetro sui quali si doveva posare una pietra pesante.

Alla fine di settembre, tenute al buio e nel fresco di una cantina aerata, le acciughe erano pronte ad affrontare l’inverno e le albanelle potevano essere tappate ermeticamente. Oggi lʼacciuga del Mar Ligure, piccola e soda, spesso pescata ancora con le tradizionali reti da circonduzione, é rara e cara. Ma la sua carne rosa pallido ha sfumature di sapore che non si ritrovano in altri filetti più spessi, grassi e scuri. Sia cruda, appena sciacquata in un vino fresco, che cotta, maritata ad uno spicchio d’aglio, continua ad essere la mia preferita, per il ricordo, certo, ma anche dopo decine di confronti.