Caro Cesare,
nell’era digitale non esistono più segreti. Nulla è intimo e tutto è pubblico. Ma c’è ancora qualcosa che resiste alla condivisione forzosa di ogni dettaglio: le ricette. Chiuse nel silenzio delle case, scritte nei libri delle nonne, custodite nelle cucine stellate, memorizzate nella pratica e non nell’elettronica. In ogni ricetta privata è nascosto almeno un ingrediente segreto che la trasforma in una potente arma di seduzione. Uno dei miei ingredienti segreti è, da moltissimi anni, l’aceto di Barolo di Cesare Giaccone. Il tuo, mio, aceto. Nella mia dispensa fa da fratello maggiore al prodotto della mia acetiera, che miscela vini diversi, li amalgama all’aria e li ammorbidisce con il riposo in una vecchia, piccola, botte.
Ma non possiamo guardare solo a chi è gastronomicamente privilegiato come noi. Nel 90% dei locali pubblici d’Italia l’aceto di vino non si trova più. E, quando vi sia, è per la grande maggioranza di origine industriale. Non discuto sulla bontà, ma quello artigianale è un’altra cosa. E da popolare è diventato raro, come molti dei cibi che un tempo erano per tutti e ora, con un gioco di prestigio linguistico chiamato “eccellenza”, sono diventati per pochi fortunati.
Mi impegno ogni giorno perché ritorni una cultura del cibo di qualità, che sappia far riconoscere e apprezzare i molti, eroici, artisti‑artigiani come te. Scrivo perché spero di dare ai lettori la forza di resistere all’omologazione del gusto proposta dalla grande distribuzione e perché riescano di nuovo a innamorarsi del sapore e con il sapore. Infatti è nell’ingrediente la seduzione del gusto. E lo sa chi, almeno una volta, ha avuto il coraggio di profumare il collo liscio di una bella donna con una goccia di aromatico aceto. E non ridere, perché sono certo che l’hai fatto anche tu.