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Manifesto della cucina italiana

Cara Signora Maria, forse è vero che siamo ciò che mangiamo. Sì, lo prendo volentieri il caffè , senza zucchero, come sempre.

Come dice? Cos’è questo tomo rosso? Sono appena rientrato dalla presentazione della Guida Michelin 2015, la più importante guida gastronomica al mondo. E descrive bene l’Italia: nulla si muove ai vertici: confermati tutti gli otto 3 Stelle Michelin dell’altr’anno, pochissime retrocessioni e un paio di promozioni eccellenti. Ma in terza linea, tra i nuovi 1 Stella, ci sono molti giovani di talento che resistono alla tentazione di emigrare all’estero. Come in tutto il Paese non mancano le personalità geniali ma è latitante la capacità di fare sistema.

Alla domanda su quale sia l’idea che guida l’alta ristorazione italiana, dai vertici della Guida Rossa rispondono con sicurezza: “grandi materie prime”. Nessun dubbio, sono le stesse che, con un po’ di fatica, possiamo trovare ancora sia in casa e che all’osteria, e che non esistono con uguale biodiversità in nessun’altra parte del mondo. Ma qual è l’idea di cucina con la quale spostare i flussi internazionali dei viaggiatori-gourmet verso i nostri ristoranti, le nostre bellezze artistiche, le nostre meraviglie paesaggistiche? Coagulandosi attorno a un’idea molto semplice, hanno già raggiunto enormi risultati -con l’aiuto dei rispettivi governi- gli chef spagnoli, nord-europei, americani.

I nostri otto chef in testa alla classifica hanno invece cucine molto diverse tra loro, dove forse l’unico filo rosso è, in qualche ricetta, il lavoro sulla “memoria”. L’ospite straniero adorerà i bucatini reinterpretati, ma non potrà godere fino in fondo del gioco raffinato della citazione né potrà comprendere pienamente l’idea artistica che sta dietro al piatto, semplicemente perché quel sapore non fa parte del suo passato come, presto, purtroppo, non farà più parte del vissuto dei nostri bambini.
Gli spagnoli hanno saputo invece guardare alla tradizione della loro cucina -peraltro meno varia e complessa- per andare nel futuro dove questa tradizione non c’è più, come ricordo, ma solo come ispirazione.

Guardi Signora Maria, ci saranno idee migliori, ma io ho la mia su quello che dovrebbe essere il futuro della cucina italiana: valorizzare i nostri sublimi ingredienti tramite una cucina che si basi sulla “leggerezza”: cotture espresse e veloci, eliminazione dei grassi inutili, riscoperta del brodo, maggior utilizzo di verdure, porzioni più piccole e menu con una ridotta successione di portate.

Fare sistema in Italia è un passaggio culturale che forse ha bisogno di minor razionalità e di maggior follia. Perché, lo so, è una follia buttarsi dietro le spalle il nostro solido passato di sapori.

Non si preoccupi Signora Maria, il sartù di riso piace anche a me, e nessuno glielo tocca. Ma sto parlando di alta gastronomia. Là dove la cucina diventa arte. Ha ragione. C’è un pizzico d’arte pure nel suo babbà. E pure un sacco di cuore. Se davvero me lo fa, domani mi fermo a colazione.