Alla pensione Londra di Borghetto Santo Spirito, i vecchi ragionavano a colazione di cosa avrebbero mangiato a pranzo e a pranzo discorrevano del menu della cena.
Per quei nonnetti, a cui la vita aveva tolto ogni prospettiva, se non quella di catturare qualche raggio di sole con i piedi a mollo sulla battigia, il cibo era l’unica ragione per sentirsi ancora vivi. Avevano conosciuto la fame durante la Guerra e ora non erano più costretti a mangiare per vivere, ma per sopravvivere, per resistere all’infinità decrescente.
Ugualmente, ai tempi del virus, in cui il futuro appare appannato e la passeggiata in spiaggia è un miraggio perfino per i più giovani, il Web pullula di ricette, di filmati di famiglie intente a impastare e a ingurgitare e di video conferenze affollate all’ora dell’aperitivo, dove i convenuti partecipano a turno a incostanti monosillabi ma non desistono dal continuo ingozzamento di qualsiasi cosa capiti a tiro di webcam.
Gli italiani provano a sopravvivere mangiando e i più perversi investono tempo, amicizie, click e carte di credito, per farsi recapitare a casa montagne di cibo, unico diversivo nella noiosa quotidiana serialità.
Tanto lo scopo della vita quanto il nutrimento dell’anima, non stanno però nella masticazione ma nella soddisfazione nel sapore, che prevede la scelta di un cibo soltanto che, in questi giorni di difficile reperimento di materie prime, forse potrebbe diventare esperienza più diffusa, come il desiderio di incontro con l’altro. Chissà che questo virtuale non porti, anche in tavola, un po’ più di reale.