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FRICIULÌN, CIBO DI CASA O DI STRADA?

Supplì, arancini, crocchette e polpette sono i testimoni di una cucina del riuso diffusa nel Centro e nel Sud Italia, che da povera si fece ricca con la doratura in pangrattato e la frittura in grasso animale.
Soltanto nel Dopoguerra, con l’abbattimento del costo dell’olio d’oliva, dovuto all’estrazione con metodi fisici e chimici aggressivi, che ne aumentarono le rese, e la diffusione di oli di semi, dai prezzi più modesti e dall’uso più agevole, il fritto divenne imperante in tutte le cotture popolari. Ma la camicia di pane, pur conferendo croccantezza e golosità, ottunde e omologa tanto i sapori quanto il colore.

Una variante inaspettata si riscontra invece in tutto il Nord, con i cosiddetti “frisceu”, “friciulìn” e “frittini”, che partono da una base vegetale di erba spontanee, poi sostituita da bietole e spinaci dell’orto, scottati in acqua e ben asciugati, uniti a uovo, parmigiano grattugiato e, a volte, a carne o riso d’avanzo.
Il pangrattato invece viene inserito direttamente nell’impasto per assorbire i liquidi in eccesso e permettere all’amalgama di addensarsi a contatto con strutto e burro, un tempo, e olio, oggigiorno.

Le frittelline d’erbette sono nude ma non hanno vergogna del confronto con i fritti in pastella o pane pesto, perché risultano di una bella tonalità di verde intenso, tenaci al primo morso, morbide all’interno ed eccezionalmente più definite nel sapore.
Finora non si sono mai sognate di involgarirsi come cibo di strada ma pudicamente sono state custodite nel segreto delle case dopo il dì di festa. A quando la prima catena di Friciulìn?

Da La Stampa del