“A tavola siete tutti dei provinciali”, chiosava un’arcigna contessa romana all’indirizzo degli abitanti della Pianura Padana.
Pranzar tardi, per l’aristocrazia, fu un segno di tale distinzione, che, a castello, si dovettero inventare ben due colazioni per posticipare alle quattro il momento del desco di metà giornata. Invece nelle campagne del Nord, a casa, si pranza ancora a mezzogiorno spaccato e d’inverno la cena è spesso servita prima delle sette.
E, al ristorante, neppure nelle Langhe è impresa semplice ottenere del cibo oltre le due del pomeriggio: “la cucina è chiusa, neanche un piatto freddo”. Che meraviglia a Napoli, poter sbocconcellare il polpo alla Luciana quando a Cuneo si prende il cappuccino con le bignole!
Ma scovar dove lavorare di mandibole a metà mattina è impresa ardua tanto in Piemonte quanto in Sicilia: erano oasi rare, a Venezia, l’ombra di vino e il cicchetto con la soppressa, nei Balcani, la zuppa fumante di interiora e, a Livorno, i frutti di mare del baracchino.
Poi l’ultimo DPCM, che ha castrato i ristoratori, ne ha liberato l’orgoglio e la fantasia e, a Torino come nelle Langhe, a Milano come a Piacenza, in molti hanno deciso di accendere i fornelli fin dall’alba, e di non spegnerli fino alla chiusura anticipata, favorendo pranzi mattutini, spaghetti pomeridiani e aperitivi all’ora del the.
Sta ora a noi clienti essere capaci di un atto di solidarietà e soprattutto di dimostrarci un po’ meno provinciali, perché i ristoratori, con questo estremo atto di resilienza, hanno già manifestato di non esserlo per nulla.
Da La Stampa del