Appena avete tempo scavate una buca in giardino e piantate un albero che vivrà a lungo e sarà goduto anche dai vostri nipoti; diverse generazioni passeranno i pomeriggi al riparo della sua grande ombra; gli uccelli vi troveranno riparo e vi coveranno le uova; non vi darà grosse preoccupazioni perché non sarà mai bersaglio dei parassiti; le sue foglie colorate adorneranno la vostra casa in questi mesi autunnali, fino alla prima gelata, che le scaraventerà a terra, trasformandole in ottimo concime per il terreno, lasciando i rami adorni di meravigliosi frutti arancioni, palline di Natale di rara raffinatezza, testimoni di una koinè iconografica chino-nordeuropea non impossibile. Mentre nel camino arderà la sua legna dal calore generoso, porterete in tavola su un vassoio d’acciaio i suoi frutti nudi, tagliati a spicchi, cosparsi di menta e spruzzati di succo d’arancia e polvere di anice stellato e l’energia vigorosa di queste carni vi nutrirà fino al giorno seguente, mentre fuori scende la prima neve, lenta, e le fiamme accompagnano morbide la lettura delle ricette di una raccolta di favole mediorientali.
L’albero a cui i Cinesi attribuivano queste sette virtù è il cachi, omonimo del frutto oggi inspiegabilmente orfano dei semi che nella mia infanzia dividevo con cura, con un coltello affilato, per scovarvi disegnata all’interno la sorprendente immagine di una piccola posata.
Solo dal vostro albero potrete raccogliere i frutti davvero maturi, pelarli, congelarli già tagliati e frullarli, la prossima estate, con un cubetto di ghiaccio, la scorzetta di un limone e una foglia di basilico, per una merenda sana, esotica, sorprendente. Per voi e la vostra discendenza.
Da La Stampa del