L’uomo nasce raccoglitore di frutti, diventa carnivoro e cacciatore, quindi agricoltore e, proprio grazie ai cereali cotti, fa il pieno di energia una volta al giorno e dedica il resto all’attività intellettuale.
Quelli che raggiungono il benessere, a scapito della maggioranza, iniziano a interessarsi al condimento e ai piaceri del desco.
Diventati troppi, la carne non basta per tutti e la dieta dei più diventa praticamente vegetale.
Tra le due guerre mondiali la maggioranza degli italiani, contadini, è vegetariana o vegana per forza. La pancia si riempie con minestre di verdura mentre le uova e il formaggio sono riservati alla vendita, la carne è quasi inesistente e la maggioranza delle calorie dipende dalla scarsa porzione quotidiana di cereali. Le proteine arrivano dai legumi e, per i più fortunati, dal latte e da uno sporadico pezzetto di formaggio.
Oggi, in un contesto di eccesso nutrizionale, i vegani per scelta tendono invece a voler rappresentare in ogni pasto l’intera piramide alimentare e si concentrano spesso sulla sostituzione degli alimenti animali invece che sull’esaltazione del sapore di quelli vegetali. Salvo magnifiche eccezioni, nei ristoranti vegani è onnipresente il piatto unico: cereali cotti miscelati a verdure saltate, a vegetali crudi, a semi, a salse e ad acidulati. Parecchi vegetariani inoltre inseriscono il formaggio in ogni portata.
La mia idea di pasto vegetale invece è quella di gustare verdure fresche, di un contadino rispettoso della terra e del sapore, preparate con passione. Visto che nei ristoranti onnivori le verdure sono ormai introvabili, cucinarle con semplicità e gusto sarebbe già di per sé sostenibile e soddisfacente, senza bisogno di confrontarsi con burger vegetali, bistecche di glutine e maionesi di soia.
Da La Stampa del